Il sottopassaggio

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Qualche giorno fa ho accompagnato Pietro, con la macchina, alla stazione ferroviaria di Ancona. Lo ho lasciato lì davanti e sono ripartita alla ricerca di un parcheggio. Dopo lo avrei raggiunto al binario. Tanto, c’era molto tempo.

Ho trovato posto non molto distante. Ho parcheggiato. Ho messo le monete nella macchinetta e ritirato il biglietto. Ho sistemato il biglietto nella macchina, in vista, sul cruscotto anteriore. Quindi mi sono avventurata nell’attraversamento delle varie corsie che mi separavano dall’edificio della stazione. Durante le attese davanti ai semafori tenevo d’occhio l’orologio e provavo conforto nel constatare che avevo ancora molto tempo.

Entrata in stazione, ho notato che l’orologio gigante, sulla parete davanti a me, andava avanti di un quarto d’ora rispetto all’orario che pensavo fosse. Secondo quell’orologio era l’ora della partenza del treno di Pietro. L’ansia ha fatto subito capolino dentro di me. Ma uno sguardo al mio orologio, che sapevo segnare l’ora esatta, mi ha fatto subito tornare tranquilla. L’orologio della stazione effettivamente andava avanti di un quarto d’ora. Un pensiero polemico si è affacciato nella mia mente ma l’ho subito cacciato via. Quello che contava era che avevo ancora molto tempo.

Sapevo da prima che il treno doveva partire dal binario 6. Ma era meglio controllare perché a volte ci sono cambi di programma e non era il caso di rischiare di perdere tempo andando al binario sbagliato. Perciò ho alzato la testa, come già altri intorno a me stavano facendo, e ho guardato il grande tabellone luminoso che indicava arrivi e partenze. Il tabellone confermava la partenza del treno dal binario 6.

Sono uscita sulla banchina, sul binario 1. Ho dato un rapido sguardo a sinistra e a destra e ho constatato che il sottopassaggio più vicino era quello a destra, quello rifatto di recente. “Che bello!” ho pensato “Passerò dal sottopassaggio nuovo!”. Ho controllato l’orologio: avevo ancora tutto il tempo che serviva.

Mi sono incamminata in direzione del sottopassaggio. Ho disceso le scale. Camminando ho ammirato il tunnel: nuovo, integro, pulito, luminoso. Ho constatato anche quanto fosse freddo, neutro, simile a tanti altri. Ma ecco l’uscita per il binario 2 e 3. Superandola, ho guardato oltre ed ecco l’uscita per il binario 4 e 5. Superando anche quella, ho guardato oltre e lo sguardo si imbattuto su un muro. Un muro cieco. Sì, il tunnel era finito. Non c’erano altre uscite. Incredula, temendo di avere visto male, ho guardato ancora. Ma c’era poco da guardare. L’uscita per il binario 6 non c’era. Punto e basta. E nemmeno indicazioni che lo riguardassero. Ho salito qualche gradino ed ho sbirciato fuori. Nessuna indicazione riguardante gli altri binari. Sono ridiscesa subito.

Ero indecisa sul da farsi. Un forte disappunto si è impadronito di me. Poi la rabbia ha preso il suo posto. Alla rabbia si è aggiunta la preoccupazione di non fare più in tempo a raggiungere il treno. Ho guardato l’orologio: oramai c’era poco tempo.

Ho fatto dietro-front. Ho ripercorso il tunnel. Ho risalito le scale. Mi sono incamminata lungo il binario 1, in direzione del sottopassaggio vecchio, lontano. Andavo spedita, facendo zig e zag, nervosamente, fra le persone che ingombravano il tragitto. All’ingresso del sottopassaggio vecchio c’era l’indicazione dei binari serviti: fra questi c’era il 6. Ho disceso le scale. Ho percorso il tunnel. Ho superato l’uscita per i binari 2 e 3. Poi l’uscita per i binari 4 e 5. Quindi ho raggiunto l’uscita per il binario 6. Ho salito le scale. E, finalmente, mi sono ritrovata sul binario 6.

Il treno era lì. Immobile. Con i finestrini chiusi. Ho guardato l’orologio: era esattamente l’ora della partenza. Non conoscevo il numero della carrozza di Pietro. Non sapevo se si trovasse in quelle più avanti o in quelle più indietro. Ero indecisa se cercarlo alla cieca, prendendo una direzione qualunque, col rischio sprecare tempo andando nella direzione sbagliata o se telefonargli, col rischio di sprecare tempo con il cellulare in prestito con cui non mi ero ancora impratichita. Indecisa, confusa, ho mosso alcuni passi in una direzione a caso e ho visto in lontananza, sul treno, Pietro che si sporgeva da una porta facendo ampi gesti con il braccio. Ho accelerato il passo. L’ho raggiunto. Appena in tempo per un saluto fugace. Poi la porta si è chiusa. Pietro è sparito dietro i vetri scuri. Il treno è partito.

Sono rimasta sola sul binario. Stanca, sudata, affranta. Poi un senso di vuoto e di impotenza si è impadronito di me.

Ho voltato le spalle al treno e me ne sono andata via, rifacendo il percorso al contrario.

Mentre camminavo lungo il binario 1 mi ha assalito la rabbia e, d’istinto, ho accelerato il passo. Va bene prendere le cose con ironia. Va bene essere comprensivi. Va bene farsi scivolare addosso le cose. Ma quando uno fa il pieno fa il pieno. E, dopo, come si fa a non sbottare?

Poi mi sono ricordata di avere un blog. Mi sono ricordata anche di avere con me, nello zainetto, la macchina fotografica. Quindi un’idea ha cominciato a prendere forma nella mia mente… Quando un tizio in lontananza, dall’aria familiare, che camminava verso di me, ha attirato la mia attenzione.

Era lui o non era lui? Me lo sono chiesta più volte, osservandolo, mentre la distanza fra noi si accorciava. Poi Marco mi ha sorriso e allora sono stata certa che era lui. La rabbia è stata subito spazzata via dalla gioia di rivederlo, dopo la sua lunga assenza dall’Italia.

Marco mi ha accompagnato fino al sottopassaggio nuovo. Abbiamo osservato bene. Non c’era alcun cartello che segnalasse i binari a cui portava o a cui non portava. Non c’era nulla che indicasse che non portava al binario 6.

Solo la possibilità di muovermi rapidamente, il fatto di conoscere il posto e un po’ di fortuna mi avevano permesso di raggiungere il treno di Pietro prima della sua partenza.

Quel giorno ero venuta alla stazione solo per salutare una persona che partiva. E se invece il treno avessi dovuto prenderlo io? E se avessi avuto da trasportare un bagaglio pesante? E se avessi avuto bambini piccoli al seguito? E se fossi stata una persona con un handicap motorio? E se fossi stata una vecchietta dal passo lento e incerto?

Perché non si pensa alla persona?

Questo episodio è solo uno fra i tanti, più o meno gravi, che possono capitare, tutti i giorni, a chiunque. Penso al condomino che non può far valere i propri diritti perché il verbale di assemblea è stato redatto in modo difforme da quanto i condomini hanno effettivamente deliberato. Penso al candidato meritevole che non vince il concorso di lavoro perché con trucchi vari viene fatto vincere un raccomandato non meritevole. Penso alla ragazza ammazzata dal suo ex fidanzato, il quale ha potuto agire indisturbato nonostante che lei abbia denunciato più volte lo stalking in atto. Penso al palazzo in calcestruzzo armato che crolla e alle sue macerie, dalle quali si vede che era stato costruito praticamente senza ferro d’armatura. Penso al paziente che muore di setticemia perché durante l’intervento chirurgico che ha subito è stata lasciata una garza dentro alla sua pancia. Penso al disoccupato che si suicida, in un contesto che non gli offre né alternative né un sostegno, mentre la gran parte dei “politici” non si occupa della polis (che in greco significa città, da cui derivano i termini politica e politico) ma solo di conquistare e/o conservare poteri, privilegi e benefici personali, sotto gli occhi di tutti. Penso ai corpi dei naufraghi, stesi esanimi sulla battigia, e alla persona che fa jogging lungo la riva senza modificare l’andatura. Penso a… È meglio che smetta di pensare, altrimenti la lista non finisce più!

Qualunque siano le ragioni, particolari e contingenti, per cui certe situazioni si verificano, a monte c’è, di solito, secondo me, il fatto che non si pensa alla persona.

Schematizzando, si potrebbe spiegare tutto così: chi deve fare non fa o fa male, chi deve controllare non controlla, chi deve denunciare non denuncia, chi deve sanzionare non sanziona. Ma a monte c’è, di solito, secondo me, il fatto che non si pensa alla persona.

Stringendo… andando al nocciolo… di questo, di solito, si tratta!

Dico “pensare” sia nel senso di “pensare”, “tenere presente”, che nel senso di “occuparsi”.

Pensiamo alla persona! A tutte le persone! Con un’attenzione particolare per quelle più deboli e più in difficoltà! Una società sana ed evoluta dovrebbe, secondo me, tararsi su chi è più debole, su chi è più in difficoltà.

Se tenessimo sempre presente che ogni cosa che facciamo ha delle ricadute sulle altre persone (anche se non le abbiamo di fronte) e che le altre persone sono “altri noi”… e se ci comportassimo di conseguenza… le cose andrebbero diversamente.

Tornando ai fatti di quel giorno, per fortuna ho incontrato Marco. Parlandone con lui ho sfogato la rabbia e ho potuto spostare, poi, la mia attenzione su altre cose. La mia giornata ha preso, così, una piega tutta diversa.

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Foto in testa all’articolo tratta da: http://www.trenomania.org (se il titolare dei diritti è contrario alla pubblicazione di tale immagine su questo articolo, sono disponibile alla rimozione delle stessa).

Le altre foto sono di: Valeria Di Filippo

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Tutti i diritti su testo e immagini sono riservati.

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16 pensieri su “Il sottopassaggio

  1. Ciao Valeria! hai raggione che alla fine sta solo il pensiero a la persona (se è solo una o molti singoli, come hai ragionato in tua lettera aperta 😉 é secondario…) E molte volte questo pensiero manca. Quando ho finito di leggere tuo articolo mi sono chiesta, se alla fine tu e Marco avete fatto presente esta mancanza en la estazione del tren? Lo suppongo di si… e sarebbe interessante se ha cambiato qualcosa en la segnalazione…
    un abraccio e scusa ancora mi italiano!!! 😉

    • Ti confesso che Marco ed io non abbiamo fatto nulla!
      Sarebbe stato giusto farlo presente a chi di dovere (in modo informale oppure presentando un reclamo formale).
      Però lì per lì non ci ho pensato. E non ci ho pensato perché ho già fatto e sto facendo azioni simili per mille altre cose e sono giunta a questa amara conclusione:
      1) non posso spendere altre energie e altro tempo per fare tutte le segnalazioni e i reclami che servirebbero e che come cittadina responsabile dovrei fare, dunque devo per forza fare una selezione,
      2) sono stufa di sentirmi trattare male da chi riceve il reclamo (come se io fossi un “asino che vola”, o come se pretendessi chissà che cosa, o come se ciò di cui mi lamento non fosse vero, eccetera),
      3) ho constatato che, solitamente, reclamare non porta a nessun risultato.
      Bisognerebbe essere in tanti a segnalare e reclamare, sistematicamente, informalmente e formalmente, quando qualcosa non va come dovrebbe. E allora qualcosa cambierebbe.
      Purtroppo però, dove vivo questo non accade. Dove vivo, in certi casi è già tanto se ci si indigna. Spesso ci si lamenta, ma fra parenti, o amici, o conoscenti… durante la pausa caffè, o alla fermata dell’autobus… e questo lascia abbastanza il tempo che trova.
      Non so in Spagna…
      Io, comunque, sia chiaro, seppur selezionando (per sopravvivere), intendo continuare a fare “la mia parte” di cittadina responsabile!!!

      • Claro, lo capisco che si deve selezionare! E tutti noi ti vogliamo viva!! Sono sicurissima che sei una cittadina responsabile!! 😉 Grazie!!

  2. Ciao Valeria, è proprio come tu dici. Brava che sei capace di indignarti! Spesso lasciamo che le cose vadano come vanno senza fare quello che come cittadini nel nostro piccolo possiamo fare. Buona giornata e grazie per le riflessioni che ci hai proposto.! Giuliano

  3. Riporto un commento riferito all’articolo.

    “Carissima Valeria, ho letto qualche giorno fa questo tuo ultimo articolo, devo dirti che ho fatto la stessa medesima esperienza qualche settimana fa accompagnando alla stazione Maria*, […] ungherese che è stata con noi qualche giorno e poi rientrava a Roma. Stesso treno, stessa scena, anche per Maria che mi ha preceduto con la valigia grande e pesante! Ci siamo trovate davanti il muro!!! Poi la corsa alla rovescia per capire quale sottopasso portava al binario 6. Chissà a quante altre persone sarà successo! Io non ho fatto nulla a riguardo e per la premura che avevo di tornare a casa poi mi sono anche dimenticata! Grazie al tuo blog mi hai fatto rivivere l’accaduto e pensare a cosa potevo fare o a cosa potrei fare! Grazie Valeria.”
    [G.M, 17 ottobre 2013, Marche, e-mail]

    * nome fittizio per la privacy

  4. Riporto un commento riferito all’articolo.

    “Bello! Ma io, quando mi accadeva qualcosa di simile andavo all’ufficio della stazione perché ero infuriata e scrivevo il mio personale o non solo personale pensiero. L’ente Ferrovie dello stato in qualche modo mi mandava un cenno di risposta. Poi la ristrutturazione del sistema non mi sembra che abbia più dato modo ai cittadini di dire a quell’Ente, più o meno lo stesso di quello precedentemente diretto da quelle persone, poi rimaste famose nello scandalo delle, mi pare, ”lenzuola d’oro”, il proprio pensiero. A cosa è valsa quella ristrutturazione? Bene certo a dare un bel volto alle nostre stazioni, ma se i mali di sempre restano? Quale l’errore alla stazione di Ancona? Un cartello dimenticato? Un cavalletto che dimostrasse che non era il caso di scendere perché si trattava solo di un “vuoto”? La responsabilità di chi? Di un gran…, che se ne andrà da quel posto con una carrettata di soldi oppure di un piccolo inserviente, che si è distratto, perché ha fatto tardi guardando la tele, svegliandosi stralunato e inefficiente? Dietro ogni nostro atto, del piccolo e del grande, sta il senso di responsabilità che ognuno di noi sta forse perdendo: quello con cui le persone della mia età sono state cresciute? Non lo so. Io sono una di quelle persone, che ha vissuto gli anni di un mondo in guerra, fortunatamente in un angolo abbastanza tranquillo della nostra Italia, ma non abbastanza e non voglio tornare a dire che quello era un mondo migliore. È però forse facendo appello al “non fare agli altri ciò che non vuoi sia fatto a te”, che dobbiamo insistere. Il blog si legge, poi la giornata ce lo fa dimenticare. Hai provato ad andare in uno di quegli uffici della stazione in cui vorresti concorrere al bene di tutti? Io sono vecchia e non ho più provato, ma vorrei che qualcuno portasse personalmente la protesta a quell’ufficio, perché nessuno abbia più a provare quello che hai provato tu. Pensa se una vecchia zia avesse dovuto fare il tuo percorso! Come vedi ti leggo. Anzi ormai sono così incuriosita da vedere, appena apro il computer, se ne hai pensato una di nuovo. Un abbraccio al mio canarino giallo”

    [E.D.F., 19 ottobre 2013, Veneto, e-mail]

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  6. ” Sottopasso ferroviario alla stazione di Ancona, nuovo fiammante e monco: opera ingannevole. Incompiuta o inutile?
    Così i servizi giornalistici locali, in primis la televisione pubblica della rete regionale RAI di Ancona., avrebbe, (a mio giudizio) dovuto titolare un servizio indagandone le ragioni. Non l’hanno fatto ? I Tanti consiglieri Comunali, i tanti segretari di Partito locali lo stesso Sindaco della città non hanno occhi per vedere e testa per ragionare su questo che pure è un fatto cittadino? Anche il Movimento Cinque Stelle tace? E la polizia Locale , amministrativa o giudiziaria Questura o Procura delle Repubblica (magari quella della Corte dei Conti) non sente un po’ di odore di bruciato di pubblico denaro dietro questo fatto? .Se così fosse sarebbe questa omertà diffusa ad indignarmi. Ma intanto la mia segnalazione in mancanza di un Ufficio Reclami presso le Ferrovie dello Stato la avanzerei subito a loro.
    Cara Valentina ti segnalo che l’ Art.18 dello Statuto di Ancona al comma 2 statuisce che
    I residenti, singoli o associati, possono rivolgere al Comune istanze, petizioni e
    proposte dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi, alle quali
    viene data risposta scritta nel termine di sessanta giorni dal loro ricevimento. Il Sindaco, in
    considerazione della loro rilevanza, può inserire le questioni sollevate all’ordine del giorno
    della prima seduta utile del competente organo comunale convocato dopo la scadenza di detto termine. L’ordine del giorno deve contenere altresì le questioni alle quali non sia stata data risposta scritta nel predetto termine.”
    Mi duole, Valentina, che il tuo Comune ti abbia declassato da “cittadina” a “residente”. Questa mutazione semantica è un segno del profondo degrado della nostra civiltà. Se non ci sono cittadini non c’è neppure civiltà. Allora da suddito residente aziona almeno questa facoltà che ti è concessa, oppure cancella questa tua inutile lamentazione dal tuo Blog.
    Gianni Domenella

    • Caro Giovanni (per gli amici Gianni), prima di tutto un caro saluto! Ed ora vado per punti. A) Grazie per le informazioni che mi hai dato sullo Statuto di Ancona, di cui prendo atto; sono preziose per me e per gli altri che leggono e, per questo, spero siano in molti a leggere. B) Sono amareggiata anche io per la restrizione ai residenti (ai quali nessuno però può togliere il fatto di essere prima di tutto cittadini) prevista dallo stesso Statuto. C) A prescindere da quanto farò o non farò, la mia “lamentazione” (cioè l’articolo) rimarrà sul mio blog; il motivo è che, a mio avviso, ha comunque il suo senso, il suo valore e la sua utilità; per esempio: C1) rappresenta uno sfogo e come tale mi fa sentire meglio, C2) contribuisce a diffondere la conoscenza di fatti che i cittadini è bene conoscano, C3) costituisce pur sempre una denuncia (anche se non secondo i canali giuridico-istituzionali), C4) solleva un problema e sensibilizza chi legge sui problemi sollevati… D) Le ragioni per cui in questo caso ancora non ho fatto nulla oltre alla “lamentazione” le ho spiegate nella risposta data a Barbara in calce al suo commento del 16 ottobre scorso a questo articolo; se ti va puoi leggerle. Ho finito con i punti! Ti chiedo scusa se non ho usato a proposito qualche termine su cui tu (avvocato) sei Maestro mentre io (un po’ ingegnere e un po’ scrittore) solo una semplice praticona. Caro Giovanni (per gli amici Gianni), ora ti saluto con affetto e… vado a pranzare!!!

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